Una fantasia (Parte 1)
Ciao ragazzi, oggi per la prima volta voglio scrivere una storia di fantasia, o almeno voglio provarci. In realtà non so neanche bene da dove partire…
… quindi viaggio con la mente, partiamo da qui…
… Mi trovo in una città diversa dalla mia, non ci sono facce conosciute e quindi non ci sono timori particolari. Nella mia valigia c’è un sacchetto di plastica, lo svuoto sul letto ancora sfatto dell’hotel e ne ammiro il contenuto allo specchio. Il vestitino a coste è vistoso con quel suo cremisi. Ed è corto. Più corto di qualsiasi altro vestito io abbia mai indossato per strada. Lo indosso e sfilo per me stessa già prendendomi in giro per averlo comprato. Mi piego piano verso il letto e guardo lo specchio dietro le spalle, il vestito si è alzato di quei pochi centimetri sufficienti a farmi vedere la linea tra le cosce e il sedere. Mi piace.
Le autoreggenti nere che mi infilo poco dopo arrivano proprio a quella linea, mi siedo sul letto e guardo l’effetto globale accavallando le gambe come fanno le donne educate, lo faccio anche di profilo e lo specchio mi mostra la pelle oltre le calze. Troppo osé. Mi piace.
Le scarpe col tacco non le ho mai veramente amate, ma per quell’occasione le indosso. Niente di esagerato, ma sufficiente a slanciare le cosce.
Lascio l’albergo sentendomi tutti gli occhi addosso e non so se sentirmi più imbarazzata o più lusingata.
La città è calda e affollata, ne percorro un tratto senza sapere quale sarà la mia destinazione. Alcuni sguardi mi colpiscono più di altri mentre mi fermo alla prima fermata affollata di un bus che non so quando passerà. Chiedo ad un uomo particolarmente interessato alle mie scarpe dove potessi trovare un biglietto e quando sarebbe passato il bus, lo ringrazio con uno sguardo profondo e mi allontano per poi tornare col biglietto.
Il bus non è pieno, è stracolmo. Ma è il bus sbagliato. La maggior parte dei presenti sono anziani o mamme con grossi sacchetti della spesa. Scendo appena mi è possibile farlo. Cammino in cerca di una seconda linea e la trovo più interessante già dalla pensilina dell’attesa. Pieno di gente frettolosa, ma pochi vecchi e poche mamme. Arriva il mezzo e scelgo di entrarci al centro della calca. Immediatamente mi rendo conto che qualcuno dovrà restare a terra e prendere il prossimo. Mi sento avvolta da quelle cinquanta persone premute una contro l’altra, c’è chi spinge e chi sbuffa per il caldo, io resto in attesa di un qualcosa che non tarderà ad arrivare. Passa la prima fermata e delle persone scendono, mi faccio piccola per non perdere la posizione e vengo sorpassata da alcuni e raggiunta da altri. Qualcosa sbatte sulla mia gamba, e guardo verso il basso. E’ uno zaino a toccarmi, mi sfiora appena sopra il polpaccio. Seguo la linea delle calze e vedo la mano che lo regge a pochi centimetri da me, continuo a salire ed incrocio l’uomo con lo sguardo guizzante.
E succede quello che sapevo sarebbe successo. Lo zaino mi sbatte addosso, la mano si poggia e si ritrae, si poggia e si ritrae anche se il bus non ci fa sballottare più di tanto. Fisso la mano fin quando non si ferma premuta sulla mia coscia, quindi guardo lui che si finge distratto e la gente attorno che ci copre da tutti i possibili sguardi. Lo sento ancora più addosso quando l’autista frena ad un semaforo. Tolgo la borsa dalla spalla e la passo alla mano sinistra in modo da creare un altro ostacolo alla vista di tutti. Per un attimo sento il dorso della mano toccare la sua.
“Fallo adesso”, penso mentre il bus riparte spingendomi verso di lui.
E lui lo fa.
Le sue dita si aprono per quando gli consente lo zaino e si posano sulla mia coscia. E tastano, tastano, tastano. Guardo fisso davanti a me portando il piede sinistro un po’ più a sinistra e il destro un po’ più a destra. Sento i suoi polpastrelli raggiungere a fatica l’orlo del vestito. Muovo la mia mano fino a raggiungere la sua, la avvolgo in una carezza e senza guardare chiudo le dita sulla zaino. Lo afferro permettendogli di avere la mano libera. I benefici sono immediati. Nonostante nella fermata successiva alcune persone lasciano il posto ad altre, non mi lascio spostare dalla massa di gente che avanza e così ci ritroviamo nello stesso punto, avvolti da schiene e spalle e gambe di gente ignara. Con non poca fatica riesco a portare il piede dietro la sua gamba e a scivolare di qualche altro centimetro verso sinistra. Ora le nostre gambe si toccano e la sua mano coperta da zaino e borsetta può aprirsi a ventaglio sulla coscia. Carezza, preme e massaggia. E poi sale.
I suoi polpastrelli toccano la pelle appena oltre le autoreggenti e continuano a salire. Prontamente afferro il vestito con la mano libera e ne copro l’avanzata. La sua spalle schiaccia contro la mia e il palmo ruota seguendo la linea del mio corpo, scivola decisa sulla mia pelle bollente fino a posarsi sul dislivello delle grandi labbra. I muscoli delle gambe hanno una lieve contrazione istintiva, ma poi si rilassano permettendomi di gustare la punta di un dito che si posa prende a sfregare il centro del mio taglio, il centro del mio piacere stupido e crescente, il centro del mondo.
La sua mano è piacevolmente calda e asciutta, sorprendentemente abile nonostante la scomoda posizione, il suo lavoro sufficiente a farmi inumidire dall’interno lubrificando la zona che sento sempre più aperta e desiderosa. Il momento migliore, quando pregusto la penetrazione che arriverà e il cervello si distacca da tutto il resto abbandonando la mia ragione che lascia spazio solo ed esclusivamente alle voglie.
Ed eccola. Un dito s’insinua piegato in modo innaturale e spinge verso l’alto facendo pressione sul clitoride sensibile. Muovo gli occhi verso di lui e mi pare incredibile quanto possa sembrare distratto e per nulla coinvolto. La gente attorno tutta inconsapevole della bellezza del momento. Giro anche la testa e lui fa lo stesso. Lo fisso con intensità cercando di comunicargli quanto fossi coinvolta.
Il suo dito entrò ed uscì più volte senza un ritmo preciso, pizzicò e trastullò dentro il buco e la punta tesissima del mio clitoride, un sobbalzo del mezzo per poco non mi fece scappare un gridolino di piacere e fui costretta a chiudere gli occhi e ad aprire la bocca inalando rumorosamente aria.
Così esageratamente eccitata sarei anche potuta venire.
Ma i bus sono così. Un momento sono strapieni e quello dopo mezzi vuoti. Così appena capito che la gente attorno a noi non era più sufficiente a garantirci una copertura sicura, lasciai cadere lo zaino e mi spostai verso l’uscita.
Naturalmente lo avevo alle spalle, distaccato sì, ma alle spalle. Scesi alla fermata successiva e non mi voltai camminando frettolosamente verso un nuvolo di auto bianche.
Entrai nel primo taxi della fila dicendo semplicemente “Parta per favore”. Guardai dietro e vidi l’uomo con lo zaino sconsolato guardare verso di me.